Ti racconto una storia:
un viaggio in auto nella Grecia del 1977
Ti racconto una storia. Tempo fa (forse nel 2004 o nel 2005, o giù di lì), mio padre mi mostrò questo disegno: è la mappa delle vacanze in Grecia che lui e mia madre fecero nel 1977.
Sinceramente non ricordo cosa mi disse. Ricordo però il mio stupore nel vedere quel viaggio disegnato: era proprio bello, era bella l’idea di aver disegnato il percorso, con le città visitate. Pensare che lui avesse ricreato quella “strada” con le sue mani era incantevole. Ero incantata.
Sono cresciuta ascoltando i racconti dei loro viaggi in Grecia nell’era “pre-figli”, quindi per me erano racconti lontani, anche difficili da comprendere e immaginare. Pensavo non mi riguardassero, e invece mi riguardavano.
Capita a volte che i fatti che ci accadono si comprendano in un secondo momento, molto dopo.
La Grecia (la Grecia dei miei genitori, non quella che ho studiato negli anni scolastici) è sempre rimasta avvolta da un’aura leggera e impercettibile, ma presente.
Poi in Grecia ci sono andata anche io, e allora ho compreso quel “sospeso”, quel “non definito” che trovi nell’Ellade quasi ovunque fuori dalle città “moderne”: una bellezza suggestiva, che ti conquista, che parte da lontano e ti trattiene. Si àncora al tuo presente.
La bellezza della luce alta, del vento forte, delle montagne silenziose, del mare cristallino, delle onde fragorose, dell’aria limpida.
E dei marciapiedi a metà, degli autobus senza orario, del “σιγά σιγά” (sigà sigà: piano piano, con calma), del tempo greco.
Della musica nelle taverne, dei balli di gruppo, del ritmo condiviso, del vino fresco e dei gusti delicati.
E poi di tutto ciò che è arrivato a noi dai millenni passati: le strade, le colonne, i timpani, le statue, i teatri, le corone d’alloro. Le parole. I pensieri. Il pensare.
E ancora delle isole: così simili e così diverse a loro stesse.
E delle città: Delfi, Olimpia, Epidauro, Micene, Monemvasia. Atene. Con le loro “agorà”: quei luoghi pieni di vita che abbiamo fatto nostri e che ritroviamo in ogni paese italiano, fulcro da cui si espande la collettività (o almeno: una volta si espandeva).
È il 31 luglio del 2017 (c’è un motivo per cui mi ricordo questa data) trovo fra le cose di mio padre un raccoglitore con scritto “VACANZE”. Lo apro, e dentro ritrovo questa cartina. E ripenso a quando me l’aveva mostrata lui.
Mi spezzo un po’.
Assieme al disegno di quel viaggio trovo altri “pezzi” che lo raccontano.
C’è un biglietto rosa che parla del loro pernottamento al campeggio “Olympos Beach” a Larissa, il 31 luglio 1977. (Ecco perché mi ricordo quel giorno: è stata una coincidenza incredibile.)
Poi ci sono i fogli dell’agenda di quell’anno: papà aveva annotato giorno per giorno le città raggiunte, i chilometri percorsi, i luoghi visitati, le cose acquistate e gli appunti sul meteo.
Mi spezzo ancora un pochino.
Mentre scorro con le dita e la vista annebbiata le tappe che loro avevano fatto durante quel viaggio (40 anni prima), ripenso alle mie tappe, a quando io ho visitato quei luoghi: sovrappongo i miei ricordi ai loro, e li fondo. Si fondono. Liquidi.
Seguendo la traiettoria del viaggio, sembra che si concluda a Dubrovnik. E invece no: da lì risalgono la Jadranska Magistrala: la spettacolare strada costiera che collega fra loro tutte le città “marine” dell’allora Jugoslavia.
(È tuttora percorribile, ed è tuttora spettacolare.)
E arrivano a casa giovedì 18 agosto, dopo aver percorso, in venti giorni, 5.435 chilometri con l’Autobianchi A112.
Fine prima parte
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