Mostra fotografica di Monika Bulaj
Geografia. Alle elementari impari che è una parola composta da altre due parole in greco antico: γεω “terra” e γραϕία “scrittura”. Scrittura della terra, o descrizione della terra, ma anche rappresentazione grafica della terra. E infatti a scuola studi i mari, i fiumi e le montagne. E inizi a guardare la terra dall’alto: su una cartina, su una mappa, su un mappamondo.
Quando ero a scuola, osservavo le carte geografiche fisiche appese al muro, e con il dito partivo da un punto e seguivo la linea azzurra di un fiume, fino alla sua foce o fino alla sua sorgente.
Sulle carte geografiche politiche, percorrevo con l’indice e lo sguardo i confini.
Da quando ero bambina, le carte geografiche politiche sono cambiate molto: alcuni Stati (fra l’altro anche uno confinante con l’Italia) non ci sono più, altri Paesi sono stati fondati, molte città hanno cambiato nome, tantissime persone hanno sostituito i propri passaporti e molte altre li hanno perduti. Tante nuove linee di confine sono state disegnate, spostate, allungate, accorciate.
E queste carte geografiche, che mostrano il cambiamento nel corso degli anni della “terra politica”, non evidenziano cosa è successo a chi quelle terre le viveva o le vive: nel loro costante mutamento, l’uomo non è rappresentato.
Non rappresentazione
In questa “non rappresentazione” emergono le Geografie sommerse della fotografa Monika Bulaj. Nelle sue foto trovano spazio e testimonianza interi popoli e singole anime, religioni perdute e dèi mai abbandonati, sorgenti d’acqua prosciugate e foreste rigogliose, i colori dell’arcobaleno e tutte le sfumature di grigio immaginabili, e ancora musiche, preghiere, silenzi, profumi, aspirazioni, gratitudini.
Ma soprattutto luoghi e persone, gli uni impensabili senza gli altri. Persone che determinano luoghi. Persone che determinano persone nei luoghi.
Luoghi che cambiano a causa di persone. Persone che cambiano a causa dei luoghi.
Tutto questo vissuto con il tempo dettato dal cammino.
Del passo che affianca un altro passo.
Del passo che porta alla parola, al racconto, alla narrazione.
Del passo che avvicina, crea relazioni, unisce.
Dello sguardo discreto che sa ascoltare prima di parlare, che percepisce con i sensi allertati tutti i significanti presenti.
La mostra fotografica
Ogni foto della mostra porta in sé popoli, secoli di storia e di cambiamenti, religioni e tabù, passato e presente, gioia e dolore, detto e non detto, scritto e orale.
Le parole di Monika Bulaj accompagnano con delicatezza e precisione il visitatore in un viaggio fra i suoi viaggi: è come sfogliare, passo dopo passo, un libro che racchiude storia, geografia, religione, scienze e arte.
«Dove? Kje? Uer? Dulà?»
Al Magazzino delle Idee, a Trieste: fra la stazione dei treni e il Teatro Miela (vicino allo storico negozio “Mirella”). La mostra, curata dalla stessa Monika Bulaj, è organizzata dall’ERPAC (l’Ente Regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia) ed è visitabile fino a domenica 8 ottobre.
Non serve un motivo per una gita a Trieste. Ma se dovesse servire: questa mostra è un ottimo motivo.
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