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Museando Scrivendo

Magazzino 18

16 Febbraio 2023
Facciata del Magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste

Venerdì 14 febbraio 2020

«Questa è la nostra Pompei. Con queste masserizie la storia si ferma, non ci sono più le case né i paesi, e pian piano non ci saranno più le nostre genti: di noi, rimarranno queste masserizie.»
È Piero Delbello a parlare, il direttore dell’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata. Siamo dentro il magazzino numero 18 del Porto Vecchio di Trieste.
E l’immagine è così forte che basterebbe per comprendere il dramma vissuto da chi, nel secondo dopoguerra, fu costretto a lasciare la sua terra in Istria, nel Quarnaro e in Dalmazia. Scappò in quanto italiano. Italiano che doveva essere allontanato dal nuovo territorio jugoslavo.

Visitare il Magazzino 18 è una violazione di domicilio: è come entrare nelle case di migliaia di persone che non ti hanno invitato, né ti conoscono. Non ho il diritto di camminare fra i loro mobili né di specchiarmi nelle loro foto. Però ho il dovere di essere lì: di guardare e di ascoltare, di conoscere la Storia drammatica che da pochi anni viene raccontata sui libri di scuola.

Entro in punta di piedi per non disturbare, e ho la sensazione che aver vissuto quel momento, e raccontarlo qua, ora, riporti quelle vite al presente, riconsegni loro alla memoria che meritano. È come se, finché ci sarà qualcuno pronto a raccontarle e a preservarle da quel silenzio per tanti anni ingiustamente vissuto, continueranno a esistere.

Non c’è abbastanza vuoto da riempire con questi oggetti che sembrano in attesa di riprendersi le loro vite.
Centinaia di sedie, tavoli, armadi, letti, bicchieri, posate, piatti, pentole, libri, quadri, foto, pettini, giochi, martelli. Lì. In attesa. E saranno per sempre lì in attesa.
Sono oggetti che gli esuli si sono portati via dalle loro case e che poi, una volta in Italia, non hanno potuto utilizzare perché nei campi profughi o nelle “nuove case” non c’era abbastanza spazio.

E così sono rimasti in immensi magazzini disseminati in tutta Italia, che poi, negli anni Cinquanta sono stati svuotati per andare a riempire il magazzino numero 18 di Trieste.
Sono oggetti che hanno nomi propri: hanno un’etichetta con il nome e il cognome del loro proprietario.

nome proprio di sedia: Macovec Giuseppina
Nome proprio di sedia: Macovec Giuseppina

«La nostra gente è stata annullata socialmente perché è stata distrutta la società – spiega Delbello – Non ha importanza sapere il numero esatto dei morti, ciò che conta è che purtroppo tutto questo è accaduto: le case e i paesi si svuotarono, questo è il senso.
E l’esodo è eterno, non finisce mai: l’esule rimane esule per sempre, si tratta di un viaggio di sola andata, il ritorno non è concepito.»

Esule. Esilio

L’esule è chi è in esilio.
L’esilio consiste nell’allontanamento del cittadino dalla sua patria.
Queste persone sono state considerate “esuli”, quando in realtà loro erano italiane e, sebbene costrette ad abbandonare la loro terra, spesso non lasciarono la loro patria perché rimasero in Italia.
E gli italiani non le trattarono come italiane, ma come esuli, nella connotazione dispregiativa che si creò in quel periodo storico in Italia. E che permane tuttora.

Simone Cristicchi al Magazzino 18

“Magazzino 18” è lo spettacolo che Simone Cristicchi, cantautore romano, porta in scena dal 2013. Cristicchi ha dato voce a storie di bambini, di donne e di uomini che il silenzio aveva voluto dimenticare, ma che la Storia rivendicava come è giusto che fosse.
Il simbolo di questo spettacolo è la sedia: nel magazzino 18 ci sono centinaia di sedie accatastate in modo confuso, centinaia di sedie che, dopo essere state catalogate, non hanno più avuto un proprietario. Ma la sedia per Simone rappresenta l’individuo
Le otto sedie con cui conclude il suo spettacolo ci ricordano che ancora oggi, in ogni oggi, ci sono persone che scappano per sempre da qualcosa.
Grazie al lavoro di Cristicchi, è stato possibile aprire il Magazzino 18 alle migliaia di persone che in questi anni hanno chiesto di entrare.

Giorno del ricordo

Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana Istituita con la legge n. 92 del 30 marzo 2004,
che cita «La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati
nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.»
Il 10 febbraio ha un significato profondo: è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi,
che assegnavano alla Jugoslavia la maggior parte della Venezia Giulia, l’Istria, il Quarnaro,
la città di Zara e la sua provincia che facevano (fino allora) parte dell’Italia.

«Dove devo andare?»

Tutte le masserizie che ho visto nel Magazzino 18 sono state trasferite nel Magazzino numero 26 del Porto Vecchio di Trieste. Per visitarlo, è necessario contattare l’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata che organizza regolarmente delle visite guidate: chiama il 351.7590343 oppure scrivi a irci.ierioggidomani@gmail.com.

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